Ferrari Testarossa, un sogno da 170 milioni di lire


Il primo incontro con la Testarossa risale ad un inverno di metà anni '80, in Corso Vercelli a Milano. Bassa, larga, anzi larghissima, esagerata rispetto a qualsiasi automobile vista prima. Le prese d'aria sui lati che tagliano le fiancate e quello strano specchietto appeso al lato sinistro del parabrezza. Una linea emozionante che mi colpisce in modo indelebile, tredicenne già appassionato di automobili. Spostiamoci ora al momento della presentazione di questa straordinaria automobile, qualche mese prima del fatidico incontro con "la rossa" per le strade di Milano.  

Debutto mondano, in pompa magna e con largo uso di effetti speciali, al Lido di Parigi il 2 ottobre 1984 per la Testarossa, la “supercar” della Ferrari destinata a succedere alla 512 BBi della quale eredita parte della meccanica. La serata dell’anteprima sembra frutti alla casa di Maranello qualcosa come ben 37 ordini, davvero non male per un’automobile ad alte prestazioni che al debutto in Italia costa circa 170 milioni di lire. Il rosso esemplare del Lido viene poi trasportato alla “Porte de Versailles” presso lo stand Ferrari, dove il giorno successivo viene presentato ufficialmente assieme ad un esemplare gemello, esposto da Pininfarina, al Salone di Parigi. Il nome attinge a piene mani alla tradizione Ferrari di verniciare in rosso i coperchi delle punterie sulle automobili da corsa e deriva da quello di una famiglia di vetture da competizione, le Testa Rossa appunto, a 4 e 12 cilindri, che hanno dominato le gare di durata negli anni ’50 e primi ’60.

“… Una linea mozzafiato, eccessiva come il decennio cui appartiene” scrivono in uno speciale di
Quattoruote di qualche anno fa. La Testarossa presenta in effetti un design “di rottura”, come dice lo stesso Pininfarina, molto spigolosa e squadrata, bassa, larga e slanciata, quasi un cuneo. E’ caratterizzata dal posteriore molto più largo dell’anteriore, enfatizzato dai massici passaruota posteriori. Le fiancate presentano una serie di feritoie orizzontali in corrispondenza delle prese d‘aria che hanno la funzione di raffreddare i radiatori, montati posteriormente appena prima del retrotreno. Un frontale basso con una mascherina che nella trama rettangolare si rifà al disegno delle calandre delle sport della Casa degli anni ’50, prima fra tutte la 250 Testa Rossa del ’57. Una grigliatura che percorre tutta la larghezza della coda ed ingloba i gruppi ottici posteriori, che qui non sono più doppi e circolari come da tradizione per la casa di Maranello, ma rettangolari ed a sviluppo orizzontale. Lo specchietto retrovisore è già di per sé un capolavoro di design, montato a circa metà del montante del parabrezza, diventerà esso stesso oggetto di culto trasformandosi anche in costosa e raffinata lampada da tavolo. I bei cerchi in lega riprendono in chiave moderna il tipico disegno della stella a cinque punte introdotto tra la fine degli anni ’60 ed i primi ‘70.

Dal punto di vista meccanico, come scritto precedentemente, il nuovo modello deriva dall’ultima evoluzione della Berlinetta Boxer. Il motore è a 12 cilindri contrapposti di 4.942 cc, rivisto con l’adozione di nuove testate a quattro valvole per cilindro con quattro alberi a cammes. La distribuzione è comandata da una particolare cinghia dentata prodotta da Good Year e denominata “Supertorque PD”, in grado di assorbire le dilatazioni termiche delle testata e dei cilindri; il tendicinghia è semiautomatico. L’accensione elettronica è Marelli Microplex mentre l’iniezione è la solita Bosch K-Jetronic indiretta meccanica. Lo spostamento dei due radiatori dal frontale della vettura al posteriore, se da un lato ha complicato il compito dei designer della Pinfarina, dall’altro ha ottenuto due vantaggi: una abitacolo meno caldo ed una vano anteriore per i bagagli un po’ più ampio. I cavalli sono circa 390 mentre l’ago del tachimetro si ferma una decina di chilometri prima dei 300 orari. Sul mensile Quattoruote di Febbraio 1986 viene definita “Formula 1 da autostrada” per le prestazioni e la disposizione della meccanica, fortemente ispirata alle monoposto del periodo. Per quanto riguarda il comportamento dinamico, il pilota Porsche Massimo Sigala nella medesima prova su strada della rivista, ci dice: “Il motore è superlativo, e la guidabilità di alto livello, permette di sfruttare le sue grandi potenzialità. Il sottosterzo a volte è un po’ troppo deciso, costringe ad una guida d’anticipo, per scegliere le migliori traiettorie ma ciò non costituisce un problema date le qualità del telaio. Molto buoni i freni e soddisfacente lo sterzo”. 

Rispetto alla vecchia BB sono migliorati sia i rivestimenti interni, che le finiture che il comportamento su strada. Viene fornita di serie completa di condizionatore d’aria ed impianto stereo, tra i pochi optional figura il set di valigie in cuoio, realizzate su misura per l’esiguo bagagliaio dell’artigiano modenese Maurizio Schedoni. La Testarossa viene resa disponibile fin da subito, a differenza della sua progenitrice, in una versione specifica per il mercato nordamericano; perde una decina di cavalli rispetto alla versione europea a causa delle normative antinquinamento più restrittive. 

Poche le modifiche nell’arco della carriera. Dopo il salone di Ginevra 1986 scompare il “monospecchio” in posizione alta in favore di due specchi retrovisori, più funzionali e collocati in posizione convenzionale sulle portiere. Da giugno 1988 viene rivisto il sistema di montaggio delle ruote: si passa dal dado unico centrale ai più comuni cinque dadi. Questa miglioria é il risultato dell’introduzione della nuova colonna dello sterzo e di variazioni alle sospensioni ed ai freni. Sulle vetture esportate negli USA dal 1986 viene montata la terza luce dello stop, collocata sul cofano motore in corrispondenza del rigonfiamento centrale.

La Testarossa è stata fonte d’ispirazione anche per i carrozzieri, più gettonate le conversioni in vetture aperte, spider o “targa”. Tra le prime le più note sono quelle realizzate dal carrozziere statunitense Straman e dai tedeschi Lorenz & Rankl, mentre per le seconde sono da ricordare alcuni esemplari allestiti dal carrozziere belga EBS, forse più conosciuto per le “cabrio” sulla base delle Renault Supercinque. Da non dimenticare la “mostruosa” Koenig Competition allestita dall’omonimo preparatore tedesco, che prevedeva pesanti modifiche estetiche e meccaniche tanto da non avere l’avvallo della Casa madre per potersi fregiare del "cavallino rampante". 

Negli anni ’80 la Testarossa è oggetto di desiderio, vera icona del jet set internazionale. Alain Delon ne possiede una rossa, Maradona e Stallone l’hanno nera, l’avvocato Gianni Agnelli si fa realizzare da Pininfarina uno spider in esemplare unico in un’elegante argento metallizzato. Per le strade di Roma nel 1985 gira una “targa” bianca con tettuccio asportabile, sembra l’unica realizzata direttamente dalla Casa con questa carrozzeria, e voluta dal principe Mohammed B. Al Saud all’epoca ambasciatore dell’Arabia Saudita in Italia. Indimenticabile la berlinetta bianca, nata nera e riverniciata dopo un paio di puntate, utilizzata a partire dalla terza stagione del telefilm “Miami Vice”. Michael Jackson nel 1987 guida uno spider nero carrozzato Straman per un “commercial” della Pepsi.
Questo mito dell’automobilismo esce di scena nel 1991 dopo 7177 esemplari costruiti. Sarà sostituito dalla 512 TR, ma si tratta di un’altra storia…

Citazioni da:
  • Quattroute collana Passione Auto, Ferrari le stradali dalla 166 inter alla 599 GTB; Editoriale Domus Febbraio 2006.
  • Quattroruote Febbraio 1986 -Prova su strada- Editoriale Domus.

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